QUESTA SCONOSCIUTA QUASI NORMALE – LA COREA DEL NORD SENZA PREGIUDIZI

Donna coreana nelle strade di Wonsan – Settembre 2018 – Lorenzo Sturiale ©

Il risalire della tensione lungo il 38° parallelo ha riacceso i riflettori dei media internazionali sulla Corea del Nord. Salvo qualche eccezione, tuttavia, a prevalere sono gli argomenti di sempre: minaccia nucleare e (presunte) bizzarrie del regime. Beninteso: la corsa agli armamenti di Pyongyang è un dato reale. Ad ogni modo, quando si osservano determinati fenomeni, che siano di natura politico-sociale o culturale, religiosa, di costume, riconducibili a specifiche (e differenti) forme di civilizzazione o di modernizzazione di un paese, sarebbe buona regola togliere dagli occhi le lenti dei propri – altrettanto specifici e differenti – statuti identitari. Così, forse, si riuscirebbe a cogliere perfino quanto c’è di normale in una società oggettivamente lontana.

Il “Djoutché” o “Juche” (si pronuncia “Ciuce”]

La torre della idea Juche, il più alto edificio in pietra al mondo – Settembre 2018 – Lorenzo Sturiale ©

Alla base della costruzione del socialismo in Nord Corea ci sono le Idee del Djoutché, simbolicamente rappresentate dalla fiaccola rossa che svetta su un obelisco di 170 metri nel cuore di Pyongyang. Sono le idee elaborate da Kim Il Sung, padre della patria e venerato alla stregua di un dio, indispensabili per capire la Corea del Nord, di ieri e di oggi. Djoutché è una parola composta da due radici, djou, che significa “maestro”, e tché, che sta per “corpo”. “Un corpo che è padrone di se stesso”, laddove per “corpo” si deve intendere il popolo (le masse popolari), la nazione. Tre sono, infatti, i pilastri fondamentali di questa dottrina: sovranità politica, indipendenza economica, “autodifesa in materia di sicurezza nazionale”. Il fine ultimo è il Djadjouseung, la piena indipendenza creativa dell’uomo (e/o del popolo-nazione). La “creatività delle masse popolari che fanno la storia” era uno dei concetti chiave del Djoutché: l’uomo, in quanto essere sociale, è padrone di se stesso e “crea” il suo destino.

I “trent’anni gloriosi”

Anche a proposito dell’economia coreana, si può parlare di “trent’anni gloriosi”, quelli che vanno dalla fine della guerra a quasi tutti gli anni ottanta. Anni in cui la crescita è avvenuta a ritmi molto elevati, consentendo al Paese di ricostruire ed ampliare il suo apparato produttivo, sviluppare la sua forza militare, assicurare un certo grado di benessere alla popolazione, ben oltre gli standard che si registravano, nello stesso periodo, nella gran parte dei paesi dello scacchiere asiatico (fino al 1972 l’economia nordcoreana era più sviluppata di quella del Sud). Basti pensare che tra la fine degli anni sessanta e la metà degli anni ottanta la produzione industriale crebbe ad un tasso medio annuo del 16%. Nel complesso, il reddito nazionale aumentò di sei volte (rispetto al 1977), portandosi nel 1986 a 2.500 dollari per abitante. Un confronto: nel 2009, in Paesi come l’Egitto, il Perù, le Filippine, il Paraguay e alcune Repubbliche dell’Asia Centrale, il reddito pro-capite non andava oltre i 1.500 dollari. In tutta l’Asia, la media era di 1.700 dollari per abitante.

Opportunità e problemi

Tipico chiosco cittadino a Pyongyang –  Settembre 2017 – Lorenzo Sturiale ©

A partire dal 2010-11, soprattutto nella capitale, ma anche nelle altre città, i segni del miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, iniziano a diventare molto palpabili. Nuovi negozi, ristoranti, scaffali pieni, automobili (in Corea del Nord c’è una casa automobilistica, la Pyeonghwa Motors, che fino al 2012 ha prodotto anche alcune vetture su licenza Fiat) e biciclette elettriche, cellulari, una varietà di merci mai vista prima.

Oggi l’80% dell’approvvigionamento di beni di prima necessità passa dai mercati privati. I mercatini periodici (Golmikiang) sono ormai tollerati e, sotto sotto, incoraggiati. Crescono pure gli investimenti esteri (sono ormai decine le aziende europee che hanno investito in Nord Corea in questi anni, bilanciando il declino delle vecchie “zone economiche speciali” sorte sulla base di investimenti cinesi e sudcoreani), nonostante l’embargo americano.

Gran fermento anche nel settore delle costruzioni. Dal 2012 ad oggi, nella sola Pyongyang, sono sorti 18 nuovi grattacieli di 50 piani l’uno e sono stati costruiti migliaia di nuovi alloggi per i cittadini. Tra questi, quelli riservati a tecnici e operai coinvolti nella costruzione di veicoli spaziali Unha (Unha Scientists Street) e di satelliti Kwangmyongsong (Wisong Scientists Street). Non solo appartamenti, comunque. Nello stesso periodo sono state realizzate anche nuove opere pubbliche di un certo rilievo, come il Mansudae People’s Theatre e lo spettacolare parco acquatico Munsu, l’aeroporto Sunan (è stato ristrutturato e ammodernato)e l’avveniristico Centro di Scienza e Tecnologia a forma di atomo, il modernissimo ospedale pediatrico della capitale.

Dove va la Corea del Nord?

Studentesse al Complesso delle Scienze di Pyongyang – Settembre 2017 – Lorenzo Sturiale ©

Nel complesso, parliamo di un Paese, che, nonostante l’isolamento e l’embargo, al netto delle necessità del sistema di difesa (la quota del bilancio statale destinata alla difesa è pari al 15,8%), sta molto meglio che nel passato, soprattutto recente, e continua ad investire molto nella ricerca e nella scuola, nella sanità, nel futuro dei giovani. Alcuni esempi: Il numero di medici e di posti letto ospedalieri per ogni mille abitanti nel 2003 era rispettivamente di 3,29 e 13,2 (in Corea del Sud era di 1,96 e 12,3 nel 2008), numeri sovrapponibili, e in alcuni casi perfino superiori, a quelli di alcuni paesi occidentali (in Germania è, rispettivamente, di 3,53 e 8,17). La speranza di vita alla nascita (70 anni) è più bassa che nei principali paesi occidentali, ma in linea e, in alcuni casi, superiore a quella di alcuni, importanti, paesi asiatici.

La spesa per l’istruzione e la cultura (e le arti) occupa, rispettivamente, il 9,2 e il 6,8% del bilancio statale (in Italia nel 2014 era del 7,9 e 1,4%), a testimonianza di un’attenzione particolare per le future generazioni. Recentemente, l’educazione obbligatoria, interamente gratuita, è stata portata a 12 anni (era di 11 anni), tra scuola elementare, media e superiore, con relativo incremento della spesa per l’edilizia scolastica e l’acquisto di computer, software, nuove apparecchiature meccaniche e di precisione. La scuola e i giovani. Forse è proprio da qui che bisogna partire per comprendere quanto sia reale il consenso verso il regime e il nuovo leader, il “Brillante compagno” Kim Jong Un, e dove sta andando la Corea del Nord.

Studenti universitari di Pyongyang – Settembre 2017 – Lorenzo Sturiale ©

Sebbene i toni appaiano più accesi, lo scontro con l’America di Trump fa tornare in mente quello con Bush all’inizio degli anni duemila. Un film già visto, comunque uno scenario pericoloso. Dietro l’escalation militare, nondimeno, c’è un Paese in movimento, con più opportunità, più ricchezza e, entro i limiti del sistema, più libertà.

Il peso sostenuto dalle donne durante la crisi e il loro ruolo attuale nella società; la maggiore disponibilità di beni di consumo, compresi prodotti occidentali e griffati che però non sono alla portata di tutti; la “normalità” (e la vivacità) dei bambini, dei giovani, degli studenti, che però (ancora) non sono sopraffatti dalla cultura consumistica. La nuova Corea del Nord in tre scatti. Un Paese sui generis, ma non l’inferno che in tanti si affannano a dipingere.

Operai di Pyongyang fuori dal Complesso delle Scienze – Settembre 2017 – Lorenzo Sturiale ©

30/09/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

FONTE: articolo di Giovanni Pandolfi pubblicato in versione integrale sulla rivista on-line “La Città Futura” il 30/09/2017.